Disinfettanti contro virus e batteri

In questi mesi di corsa frenetica all’acquisto di disinfettanti e salviette per proteggerci dal coronavirus, dopo aver assistito a scaffali dei supermercati inesorabilmente vuoti e aver ricevuto dalle farmacie risposte negative, ci rendiamo conto di uno strumento importantissimo che abbiamo a disposizione come aiuto contro l’attacco di virus e batteri: i disinfettanti.

Un antisettico è un composto chimico capace di prevenire o arrestare la crescita o l’azione dei microrganismi attraverso la loro inibizione o distruzione. Gli antisettici sono preparazioni idonee all’applicazione su tessuti viventi e pertanto, oltre ad avere attività microbiocida, devono essere non citotossici e compatibili con i tessuti sui quali vengono applicati.
Si definisce invece disinfettante un composto chimico in grado di eliminare, dopo il trattamento, i microrganismi presenti su un materiale inerte. Il disinfettante “ideale” deve possedere la capacità di aggredire ed uccidere i germi contro i quali viene impiegato.

I disinfettanti sono quindi agenti antimicrobici che vengono utilizzati per eliminare i microrganismi presenti sugli oggetti. Si differenziano da altri agenti antimicrobici come ad esempio gli antibiotici, che distruggono i microrganismi presenti nel corpo umano, gli antisettici, che come abbiamo visto eliminano i microrganismi che si trovano sui tessuti viventi e anche dai biocidi, che distruggono tutte le forme di vita, non solo i microrganismi.

Il meccanismo d’azione dei disinfettanti passa attraverso la distruzione della parete cellulare dei microorganismi oppure comporta un’interazione con il loro metabolismo. Il meccanismo d’azione delle varie sostanze dipende strettamente dalla classe di molecole a cui appartengono.

  • Alcoli e fenoli, ad esempio, provocano la coagulazione delle proteine e pertanto impediscono il loro funzionamento in processi enzimatici di importanti funzioni metaboliche.
  • I composti con una struttura molecolare contenente un gruppo lipofilo (cioè affine ai grassi) ed un gruppo idrofilo (che preferisce l’acqua e le soluzioni acquose), come ad esempio la clorexidina, alterano la membrana citoplasmatica della cellula e ne impediscono i normali scambi necessari fra il suo interno e l’ambiente esterno.
  • I composti ossidanti, come perossidi e permanganati, il cloro e gli ipocloriti e lo iodio inducono alterazioni incompatibili con l’azione di alcuni enzimi e coenzimi essenziali come il coenzima A.
  • I composti come l’ossido di etilene e la formaldeide, infine, provocano un meccanismo che rende inefficace anche la difesa naturale della spora batterica.

L’efficacia della loro azione dipende da alcuni fattori, come la concentrazione della soluzione, la stabilità della preparazione e il tempo di contatto tra disinfettante e materiale da disinfettare. Dall’altro lato, l’efficacia dipende anche dal tipo di microrganismo da eliminare, dalle sue caratteristiche e dall’eventuale resistenza della specie a uno o più disinfettanti.

La storia dei disinfettanti

I disinfettanti nascono e si sviluppano durante le guerre della seconda metà dell’Ottocento e nel corso della Prima Guerra Mondiale, in risposta alla necessità di evitare la morte di migliaia di soldati feriti. La morte dei soldati, infatti, avveniva per lo più a causa dell’infezione alla ferita, più che per la ferita stessa. Serviva quindi qualcosa che permettesse di eliminare almeno in parte gli organismi responsabili di tali infezioni.

Vediamo ora le classi principali di disinfettanti.

Acido fenico (o fenolo)

L’acido fenico, noto anche come acido carbolico o fenolo, è un composto aromatico derivato dal benzene. Puro, si presenta sotto forma di cristalli bianchi nel tempo diventano gialli o rosa, per via dell’ossidazione dovuta all’ossigeno dell’aria. È stato usato come disinfettante soprattutto ambientale fino agli anni ‘50-60, i nostri nonni si ricordano ancora il classo “odore di ospedale” oppure “odore fenico”. L’acido fenico è stato poi abbandonato soprattutto per la sua tossicità.

Nel 1867 il medico inglese Joseph Lister aveva intuito l’importanza di disinfettare sia le ferite sia gli strumenti chirurgici. A tale scopo, aveva elaborato una soluzione di acido fenico che, tuttavia, risultava piuttosto irritante e tossica per il corpo umano. Decise di utilizzare il fenolo (sintetizzato qualche anno prima da altri due chimici e usato per disinfettare le fogne) sulle fratture esposte, patologia molto comune e terribilmente drammatica, perché si concludeva con l’amputazione dell’arto interessato o anche con la morte per gangrena.
Questa medicazione aveva però dei limiti: infatti l’acido fenico puro era altamente irritante per i tessuti sani circostanti la ferita. Lister cercò allora di attenuare questa azione collaterale diluendo l’acido fenico sia in acqua che in olio. La soluzione acquosa serviva per la disinfezione iniziale delle ferite, mentre quella oleosa veniva applicata successivamente perché più duratura (l’olio evaporava più lentamente dell’acqua). Inoltre, Lister riteneva che l’acido fenico dovesse essere nebulizzato continuamente nell’aria della sala operatoria per tutta la durata dell’intervento, anche sui chirurghi, per respingere i microbi.
L’acido fenico venne da allora applicato per nebulizzazione nella preparazione degli ambienti operatori, a cui si cominceranno a dedicare spazi più chiusi ed isolati, ma adoperato in particolare per lavare gli strumenti chirurgici, il materiale d’uso e le mani dei chirurghi, che cominceranno ad adoperare anche indumenti più adatti e puliti.

Tintura di iodio

La scoperta della tintura di iodio è dovuta a un medico italiano, Antonio Grossich, che fu anche un uomo politico irredentista di spicco insieme a d’Annunzio.

Questa composizione a base di acqua depurata, etanolo, iodio e ioduro di potassio, al contrario dell’acido fenico, era del tutto tollerabile sulla cute e possedeva un altissimo potere antibatterico. È stata infatti usata fino a tutti gli anni ’60, in ospedale e in sala operatoria, proprio per la sua potenza antisettica. Poi, un po’ a causa delle sempre più frequenti allergie dei pazienti, un po’ per la cautela necessaria alla sua conservazione, è stata sostituita dai derivati organici dello iodio, soprattutto iodopovidone, che conosciamo ad esempio con il nome commerciale di Betadine. Il suo potere antisettico è un po’ meno efficace rispetto alla tintura, ma è più facilmente gestibile.

Una particolarità di questi preparati a base di iodio, che li rende molto utili, è proprio il loro colore rosso-bruno. Quando deve preparare il “campo operatorio”, ovvero la porzione di pelle da incidere col bisturi durante un intervento, il chirurgo può vedere esattamente quale e quanta superficie di cute è stata disinfettata. Non c’è quindi la necessità di aggiungere alla soluzione dei coloranti.

Cloro e derivati

I disinfettanti a base di cloro fecero la loro comparsa nel 1916, durante la battaglia di Verdun, con la cosiddetta soluzione di Dakin-Carrel. Alexis Carrel era un chirurgo e biologo francese, premio Nobel per la medicina nel 1912 per le sue scoperte nel campo della chirurgia vascolare. Henry Dakin era un chimico americano che aveva messo a punto una soluzione a base di ipoclorito di sodio e acido borico. L’ipoclorito di sodio, il principio attivo della comune candeggina, ha un elevato potere antisettico, ma la sua composizione è instabile e in più ha un effetto irritante. Dakin riuscì a ottenere un derivato stabile e non corrosivo neutralizzandolo con acido borico, e Carrel iniziò a utilizzarlo per le medicazioni durante la chirurgia.

L’ipoclorito di sodio è il sale di sodio dell’acido ipocloroso. La sua formula chimica è NaClO.
Diluito in modo variabile dall’1% al 25% circa in soluzione acquosa, ha un colore giallo paglierino e un caratteristico odore penetrante. È noto nell’uso comune con i nomi di candeggina o varechina, come soluzione usata per detergere, disinfettare sanitari e pavimenti, smacchiare o sbiancare tessuti e capi d’abbigliamento non colorati.
In soluzione più diluita è conosciuto con il nome di Amuchina (nome commerciale di Angelini Pharma) ed è usato come disinfettante alimentare. L’inventore dell’Amuchina è Oronzio De Nora, un ingegnere pugliese nato alla fine dell’800. Egli brevettò il prodotto in Germania cedendo poi il marchio, che oggi è di proprietà di Angelini Pharma.

Alcoli

Gli alcoli (il più usato è l’alcol etilico o etanolo) hanno il vantaggio di esplicare la loro azione e poi evaporare rapidamente senza lasciare residui. Tuttavia, non sono adeguati a disinfettare le ferite perché denaturano le proteine esposte e formano uno strato al di sotto del quale i microrganismi possono continuare a proliferare. Sono adatti però per una disinfezione superficiale, ad esempio delle mani, e per materiali e superfici. In questo caso il loro meccanismo d’azione è per lo più meccanico: strofinando la pelle o la superficie da trattare i microrganismi vengono allontanati, ma non uccisi.

L’alcol etilico, insieme all’alcol isopropilico (o isopropanolo) è più efficace diluito con acqua (concentrazioni tra il 70% e il 90%) che puro, perché il meccanismo di denaturazione delle proteine per avvenire ha bisogno di acqua.

 

Da questa breve carrellata vedete come la chimica ha e ha avuto un ruolo buono e vantaggioso nel miglioramento della nostra salute e possibilità di vita. È grazie ai disinfettanti se in questi giorni di epidemia e contagi possiamo prendere precauzioni per evitare la diffusione del virus almeno in parte.