L’attuale pandemia ha portato con se un pullulare di notizie fasulle, studi scientifici sensazionali e rapidamente ritirati, ma soprattutto ha acceso i riflettori sul metodo della ricerca scientifica, di cui gli articoli e gli studi clinici sono un corollario. Per questo motivo desidero raccontare la mia esperienza di fronte a un brevetto scientifico che non era così rigoroso come voleva far credere il tipo di pubblicazione.
Non è mia abitudine parlare nello specifico di cosa sto traducendo. Principalmente per motivi di confidenzialità, ma anche perché non credo possa interessare più di tanto ai miei interlocutori l’argomento specifico di un brevetto o un manuale che sto traducendo.
Inoltre, prima di accettare un incarico di traduzione leggo rapidamente il testo: nel caso di un brevetto leggo titolo e riassunto, guardo la lunghezza e lo stato del testo di partenza (se richiede rimaneggiamenti, un’impaginazione particolare, ecc.), ma non leggo tutto il documento. Dopo questo breve esame decido se accettare o rifiutare la traduzione.
Queste premesse sono necessarie perché un paio di anni fa ho tradotto un brevetto che descriveva uno studio clinico, che a un primo esame sembrava un argomento serio e ben argomentato, ma alla traduzione si è rivelato uno studio clinico piuttosto fumoso per un prodotto omeopatico.
Confesso che per la prima volta ho avuto difficoltà a tradurlo, non per la complessità del testo o dello stile, ma per le idee che presentava e per come le presentava. Sono pur sempre una scienziata, e leggere certe affermazioni o deduzioni di tesi di dubbia veridicità mi ha dato fastidio, ma ormai avevo accettato l’incarico, quindi ho tradotto tutto il testo, pur segnalando la stranezza dell’argomento al cliente (era pur sempre un brevetto scientifico).
Da questa traduzione ho dedotto una serie di indizi che possono essere utili per smascherare una notizia falsa in campo medico, e che vi racconterò in un paio di post (uno non è sufficiente). Se poi volete ulteriori aiuti per distinguere la scienza vera dalla pseudoscienza, vi consiglio la lettura di questo articolo di Query.
In questo primo post vediamo come uno stile vago e l’uso di termini difficili aiutano a confondere il lettore.
Uso di indicazioni generiche
Se lo studio che state leggendo usa frasi generiche, con indicazioni vaghe, fermatevi un momento. Uno studio scientifico o clinico non è un romanzo: deve fornire indicazioni precise e circostanziate. Ad esempio: qual è l’obiettivo dello studio? Cosa si vuole scoprire? Quale risultato si vuole ottenere? È stato ottenuto? Se dopo aver letto il documento non capite dove gli autori vogliono arrivare, o se l’argomento dello studio è molto vasto, c’è qualcosa che non va.
Valutazioni soggettive
La forza della ricerca scientifica sta nell’oggettività dei risultati e dell’interpretazioni dei dati. Se i dati ottenuti da una serie di test ci dicono che lo studio non funziona, quella è la verità. Non esiste un’altra interpretazione. Se la cellula doveva diventare blu dopo l’aggiunta del colorante ma è rimasta rossa, quello è il risultato oggettivo. Uno studio scientifico non dà valutazioni soggettive e generiche, ma precise, riferite a una serie particolare di dati, e soprattutto oggettive. Non sempre quello che avevamo previsto accade. Capita. Ma non è serio piegare ai nostri desideri dati che dovrebbero essere ottenuti in modo corretto e ripetibile.
Assenza di relazioni causa-effetto evidenti
L’inversione tra causa ed effetto è molto usata per confondere le idee al lettore. Soprattutto in studi articolati, è facile perdere di vista quali sono le cause e quali le conseguenze di un farmaco, ad esempio, o di un trattamento. Inoltre, spesso, queste relazioni di causa ed effetto non ci sono, ma sono ugualmente suggerite da chi scrive, talvolta in buona fede, ma spesso per confondere le idee di chi legge. In questo modo si porta il lettore a credere cose che nei fatti non sono dimostrate o di cui è dimostrato il contrario.
Assenza di riferimenti bibliografici o riferimenti generici
Questo aspetto, nel brevetto che ho tradotto era lampante. Quando si traducono articoli scientifici e brevetti ci si trova davanti a molta bibliografia e si impara anche a distinguere quella fatta bene da quella generica e di scarsa importanza.
Per fare un esempio: se lo studio clinico parla dell’uso di un nuovo farmaco per combattere, ad esempio, l’epilessia negli adolescenti, suonerà strano avere in bibliografia un testo di medicina generale. Mi aspetterò invece di trovare articoli che parlino di epilessia, di epilessia negli adolescenti, del farmaco oggetto dello studio o di altri farmaci per l’epilessia.
Altro campanello di allarme, l’uso di riferimenti bibliografici sconosciuti. Gli studiosi di un particolare settore conoscono le riviste più importanti e autorevoli per un determinato argomento. Riviste poco conosciute, studi di ricercatori mai citati o provenienti da paesi generalmente poco attivi nelle ricerche devono mettere sul chi va là il lettore.
Uso di nomi altisonanti o molto tecnici
Se il punto precedente può essere smascherato solo da lettori esperti, l’uso di molti termini molto tecnici o addirittura altisonanti e desueti deve insospettire anche il lettore meno esperto. Certo, l’uso di tecnicismi non richiesti è spesso un vizio di medici e scienziati. Una buona comunicazione scientifica tuttavia deve essere chiara e comprensibile a tutti i lettori. Un conto è l’articolo scritto da medici per medici da presentare a un congresso, diciamo di gastroenterologia, un altro è un articolo che spiega a un pubblico più vasto di pazienti l’efficacia di un nuovo farmaco per la cura del tumore al seno. Ecco, in questo secondo caso, il testo deve essere semplice, lineare, ricco di spiegazioni. Se sono usati termini tecnici, questi devono essere spiegati. Un ottimo esempio di comunicazione in questo senso è Fondamentale, la rivista dell’AIRC che è distribuita ai sostenitori dell’associazione.
Uso di frasi confuse
Abbiamo visto che uno studio clinico o scientifico può non dare i risultati sperati. Spesso, un successo è frutto di molti studi sbagliati o fuorvianti, che poi hanno permesso ai ricercatori di prendere la strada corretta. Nel brevetto che ho tradotto, per esempio, era evidente che lo studio presentato non dava gli esiti previsti, ma gli autori hanno più volte usato frasi contorte e confuse, per far credere al lettore l’opposto.
Queste cattive pratiche sono presenti anche negli studi scientifici destinati alla pubblicazione su riviste prestigiose. C’è da dire che la revisione da parte di altri ricercatori (la peer-review) limita i danni in questo senso. Ciò che noi “comuni mortali” dobbiamo temere è quando questi giochetti vengono usati per presentarci l’efficacia di una nuova cura contro l’obesità o di una cura alternativa contro il cancro, ad esempio. O se chi vuole venderci un depuratore domestico ci presenta dati di inquinamento delle acque ambigui o difficili da capire.
Allenatevi a scovare gli imbrogli, nel prossimo post sull’argomento scenderemo più nel dettaglio dei dati degli studi clinici.